Angelo Baracca ci ha lasciato ma certo non ci lascia quello che ha rappresentato come compagno e collega per molti di noi.
E’ la prima volta che scrivo “in memoria” e lo faccio solo perché sono convinta che lui ne sorriderebbe e condividerebbe quello che vi racconto del contributo che ha dato, oltre che a tante altre iniziative di conoscenza e denuncia, alla nascita e formulazione dei compiti del gruppo di lavoro sulle nuove armi, diventato poi newweapons research group.
Con Angelo parlavamo, entrambe sostenevamo quello che si chiamava Scienziati e scienziate contro la Guerra, un gruppo di informazione anche scientifica sulle conseguenze delle guerre sulla popolazione civile, allora gruppo di ricerca osservazionale, ma non di lavoro sul campo nè di indagine analitica.
A Genova nel 2006 eravamo riuniti insieme ad Angelo con i movimenti antiglobalizzazione e per un mondo migliore a ricordare la repressione del forum sociale mondiale del 2001 e a parlare della situazione terribile in Iraq ed Afganistan.
Intanto gli attacchi Israeliani sul Libano e simultaneamente, seppure più brevi su Gaza, erano iniziati nella prima settimana di Luglio e molto presto io ero stata raggiunta dalla richiesta di medici da Tiro e Sidone in Libano e da Gaza che riportavano di ferite mai viste prima e con esiti inaspettati, ferite senza frammenti alla autopsia o nelle ferite delle vittime, e chiedevano aiuto a capire cosa le procurasse e come intervenire.
Con Angelo discussi come fosse il caso di prendere la responsabilità di passare dalla denuncia e dall’osservazione circostanziale allo studio di queste ferite per comprenderne le cause ed eventualmente, se possibile i rimedi. Discussi di fare cioè il nostro mestiere di scienziati applicandolo alle circostanze.
In quel periodo la letteratura militare lodava la sperimentazione di “armi a raggio di impatto ridotto, capaci di ridurre le vittime collaterali” negli omicidi mirati, e di armi “aumentate con polveri di metallo”, che, oltre che l’uso di proiettili ad uranio impoverito, si candidavano ai nostri occhi di scienziati come invece “armi a raggio di effetto incontrollato e i cui residui potevano permanere nel tempo e causare danni a lungo termine alla salute”, cosa che poi abbiamo dimostrato succedere a Gaza.
E ancora in quel periodo, il giornalismo investigativo, in particolare in Italia Maurizio Torrealta, parlava di un tipo di queste armi di nuova generazione chiamato DIME che sarebbe stato “aumentato” con titanio, un metallo tossico e potenzialmente carcinogeno.
I casi di vittime per cui dal Libano e da Gaza ci si chiedeva aiuto avrebbero potuto essere dovuti a queste armi, ma bisognava agli occhi di alcuni di noi, Angelo con me, passare dalle osservazioni e induzioni, all’ottenimento di prove e allo studio scientifico ed analitico delle sostanze nelle armi e documentare le implicazioni sulla salute. Bisognava dunque lavorare nei luoghi di queste guerre ed iniziare a raccogliere evidenze materiali. Il primo passo fu l’invio in Libano da parte mia di protocolli per la raccolta di materiale biologico dalle ferite. Analogamente protocolli furono inviati a Gaza. In entrambe i posti i campioni furono raccolti dai chirurghi.
Il secondo passo nel settembre 2006 fu quello di inviare un collega infermiere in una prima missione in Libano, per raccogliere le circostanze e le diagnosi e gli esiti delle ferite stesse. Che lo studio sarebbe stato difficile da portare avanti fu subito chiaro in Libano dal fatto che tutti i campioni bioptici appena finiti gli attacchi furono sequestrati ai chirurghi di medicina di emergenza che li avevano raccolti, dal governo Libanese che disse li avrebbe mandati ad analizzare, si rifiutò di interloquire con scienziati internazionali e mai riportò i risultati di alcuna analisi pubblicamente o ai medici locali. Salvo un singolo campione portato via ancora durante gli attacchi da un giornalista tedesco e poi messoci a disposizione per analisi, che furono però limitate dal trattamento precedente fatto sullo stesso campione.
Dal Libano però avemmo una ottima interlocuzione anche nella successiva mia visita a novembre con i chirurghi e la descrizione precisa sia delle circostanze dell’attacco su più decine di vittime, sia le foto delle loro ferite, sia il report delle procedure di intervento e dell’esito di questo. Queste informazioni aiutarono a formulare ancor più chiaramente che armi senza frammenti e mirate, di vario impatto con carica sub o letale erano state introdotte in quella guerra da Israele. La similitudine con le informazioni corrispondenti fornite dai medici di Gaza era molto grande, ed in questo caso i campioni biologici erano stati preservati e ci furono resi disponibili per analisi.
Lo studio analitico dei tessuti delle ferite delle vittime di Gaza ci confermò che queste contenevano varii metalli pesanti carcinogeni e capaci di produrre difetti negli embrioni e feti in quantità elevate, e danni sulla salute in generale, ma non contenevano titanio.
Mai prima informazioni dirette di questo tipo erano state ottenute e la contaminazione presente nel tessuto sede delle ferite senza frammenti era quella che si definisce “prova di fatto” che fossero state usate armi con contenuto di metalli pesanti in forma di particelle molto piccole che possono agire come “seghe molecolari” quando sono ad alta temperatura. Questo implicava il potenziale di questo tipo di armi di diffondere metalli pesanti che non scompaiono dall’ambiente e che si accumulano negli organismi viventi e sono patogenici a lungo termine. Abbiamo verificato che subito dopo gli attacchi nel 2009 la contaminazione da metalli era infatti molto alta in più del 60 % dei circa 100 bambini testati.
Anni di lavoro di indagine sul campo a Gaza (2010-2020) hanno poi portato prove dirette che difetti congeniti e nascite pretermine, le due cause principali di mortalità alla nascita, ed entrambe di problemi più o meno gravi ai sopravvissuti, sono associate a contaminazione dei neonati e delle madri da metalli pesanti e che questa contaminazione nella fase immediatamente successiva agli attacchi militari è dovuta alla esposizione documentata obbiettivamente delle donne gravide a questi attacchi.
Nonostante questi dati siano stati oggetto di molte pubblicazioni scientifiche in giornali internazionali, non molto è stato diffuso in Italiano un po’ per la natura “tecnico-scientifica ” dei dati ma soprattutto per la nostra limitata capacità di coprire i diversi fronti dell’informazione.
Vedo Angelo sorridere per il fatto che per celebrare lui ho colto l’occasione di raccontarvi questa storia, e so che condividerebbe che lo faccio. A volte, o forse sempre, la somiglianza nelle motivazioni, la competenza generale in un campo e la complicità nella lotta sono i vademecum per l’avanzamento delle conoscenze e per la scoperta di verità difficili da digerire.
Gaza è adesso diffusamente contaminata da metalli pesanti, la popolazione ne è cronicamente affetta. Così è molto probabilmente per tutti i territori dove Israeliani e Nordamericani e loro “compratori di armi” hanno operato in tutti gli anni del secolo. Infatti, mancando indagini puntuali, ci però sono osservazioni di incremento dei danni alla nascita in tutti questi paesi. Mentre a Gaza altri potenziali agenti che possono produrre questi danni sono stati esclusi dal lavoro di ricerca, certamente in altre circostanze i danni possono avere anche altre concause, ma forse ora è purtroppo troppo tardi per indagini scientifiche puntuali che le dimostrino o escludano.
Allora, Angelo che mi sorridi, grazie ancora per la complicità, lo scambio di idee e conoscenze e la condivisione di intenti, e che la terra ti sia lieve come tu lo sei stato con i tuoi amici.
Iniziò cosi il lavoro del gruppo di ricerca NWRG
Paola Manduca