La vita della popolazione di Gaza è seriamente messa in pericolo e noi, cittadini/e del mondo, associazioni, gruppi, non credenti e credenti di fedi diverse, sentiamo la responsabilità di agire laddove le Risoluzioni hanno fallito, e porre all’attenzione internazionale questo lento genocidio.
Prima di tutto il nostro sguardo si appunta sull’assedio, imposto dalle Autorità israeliane e attivamente sostenuto dal Governo Egiziano. Con un concorso di colpa anche di quei loro alleati che, in modo attivo o passivo, persistono nel privare la popolazione di Gaza dei diritti umani, dì rifornimenti essenziali, di medicine, di trattamento del sistema
fognario, di acqua potabile ed elettricità, di libertà di movimento.
Non si tratta di una catastrofe naturale, ma prodotta dall’uomo.
Il lento strangolamento di Gaza mette in luce non solo il sacrificio di quella popolazione civile, ma mette in gioco anche le nozioni di autonomia, libertà, in quanto diritti universali e la sopravvivenza stessa della Palestina.
Come cittadini/e del mondo, la nostra responsabilità e il nostro interesse nei confronti del popolo di Gaza è chiedere la sua liberazione, passo essenziale per la liberazione e la conservazione della Palestina.
Alla domanda di coloro che chiedono “Ma chi ci guadagna dalla sopravvivenza di Gaza?” le risposte sono ovvie: i quasi due milioni di esseri umani che vivono a Gaza, e i tre milioni di esseri umani che vivono in Cisgiordania e a Gerusalemme.
Gaza è sotto assedio da 10 anni. L’accordo per il cessate il fuoco del 2014 tra il Governo di Gaza e diverse fazioni palestinesi e le Autorità israeliane, comprendeva negoziati per aprire le frontiere di terra e fornire un porto di mare, in modo tale da alleggerire l’assedio.
Nei tre anni successivi, con rare eccezioni di qualche atto irresponsabile, Gaza per parte sua ha onorato l’accordo. Ma non è avvenuto lo stesso da parte di Israele: attacchi di bassa intensità, dalla terra, dal mare e dall’aria quasi quotidiani e uccisioni di almeno 30 abitanti di Gaza, tra cui pescatori. E le Autorità egiziane, invece di mettere in pratica l’accordo da loro favorito, hanno stretto l’assedio e aumentato la sofferenza, bombardando e allagando tunnel e mettendo in pratica una quasi totale chiusura della loro frontiera con Gaza, l’unico punto di transito alternativo per persone, cibo,
medicine e molti rifornimenti civili la cui entrata non è permessa dal confine israeliano.
Israele non ha rispettato nemmeno gli accordi elaborati con le Nazioni Unite per l’entrata dei materiali da costruzione per ricostruire le migliaia di case distrutte dalle sue ultime aggressioni militari. Si contano ormai centinaia di morti per mancanza di medicine, di cure come radioterapia e chemioterapia, per mancanza di strumenti per la diagnostica e la cura, e aumenteranno inevitabilmente per l’inquinamento ambientale, la povertà e la conseguente malnutrizione dei settori più fragili della popolazione, in particolare i bambini. La carenza di elettricità, carburante, la mancanza di fognature e di acqua potabile è insostenibile e insopportabile, e incide sulla salute pubblica. Il crollo delle attività produttive e commerciali causa oltre il 40% di disoccupazione, con la conseguente disperazione di una popolazione per lo più giovane.
L’Unione Europea, attualmente silenziosa, non è stata neanche in grado di mantenere i suoi impegni preesistenti. Ancor più chiaro il suo fallimento nel tenere aperto il passaggio di Rafah secondo il meccanismo ancora attivo EUBAM.
Analogamente è stato abbandonato un progetto approvato per un porto a Gaza. Entrambi questi impegni erano contenuti negli accordi 2014 per la cessazione delle ostilità. Le Nazioni Unite hanno fallito nell’emanazione delle loro tante Risoluzioni, in quanto Israele non ne ha mai rispettata
nessuna, senza per questo subire sanzioni. Anche i recenti appelli del Palestinian Human Rights Organisations Council (PHROC), dei Physicians for human rights, la denuncia di Gisha e le tante denunce che si susseguono, ci sollecitano a sviluppare una campagna internazionale per Gaza, non solo con richieste sull’emergenza, ma presentando una lista di bisogni strutturali da soddisfare. La lista degli interventi è lunga – perché l’inazione di fronte alle tante violazioni dei diritti umani è stata ancora più lunga. E crescerà, se non interviene un cambiamento. Ma il tempo per agire è breve se si vuole che le decisioni siano efficaci.
I diritti alla salute e alla vita possono essere garantiti solo da un sistema sanitario pienamente funzionante, dalla fornitura di infrastrutture essenziali, da una economia che funzioni. Sono condizioni che, secondo il Diritto Umanitario internazionale dovrebbero essere fornite dalle autorità occupanti, ma in mancanza di scadenze vincolanti e senza
sanzioni il Diritto umanitario internazionale è stato disprezzato e violato troppo a lungo, fino ad essere reso “inutile”.
Adesso il tempo è scaduto. Mentre si concerta un piano integrato per la messa a disposizione di strumenti e si fanno i primi passi per una pressione
internazionale sulle Autorità israeliane affinché adempiano alle loro responsabilità e obblighi derivanti dal Diritto internazionale, è necessario essere pronti a rispondere direttamente ai bisogni fondamentali del popolo palestinese e farlo in un quadro di indipendenza dal chi queste necessità nega, mantenendo l’assedio.
Dunque chiediamo alla Comunità internazionale degli Stati, alla Unione Europea e alle Nazioni Unite di agire immediatamente e per un piano di azione a lungo termine. Ci sono già fondi congelati e progetti per rispondere a molte di queste richieste.
– Fornitura immediata e stabile di medicine, presidi medico chirurgici, strumentazione medica e sue componenti, per ripristinare molto rapidamente quanto manca per provvedere alla salute e garantirne il mantenimento.
– Immediata disposizione di una linea stabile di fornitura di carburante per generare energia e nuovi cavi per coprire le necessità, mentre a Gaza si ricostruisce un secondo impianto di produzione
– Apertura immediata e stabile 24/7 del passaggio di Rafah attraverso EUBAM.
-Impianti di desalinizzazione costruiti secondo le tecniche e le misure adeguate a provvedere acqua potabile per l’intera comunità.
– Costruzione del porto e nel frattempo attivazione temporanea di un servizio di piccoli battelli per passeggeri e piccoli carichi, con la terra più vicina, Cipro.
– Fornitura di impianti di energia solare per tutte le strutture ospedaliere che servono più di 500 pazienti al mese e ai dipartimenti per cure specialistiche avanzate indipendentemente dal numero di pazienti e, nel frattempo, fornitura temporanea di carburante per coprire le necessità dai generatori esistenti.
– Fornitura di cemento ed altri materiali necessari per la ricostruzione delle abitazioni, già accertate da Nazioni Unite e UNRWA.
– Ricostruzione ed espansione, come necessaria, del distrutto sistema fognario.
– Costruzione di servizi e impianti di riciclaggio e smaltimento dei rifiuti
– Garantire accesso indipendente alla comunicazione satellitare e telefonica
– Garantire la possibilità di produrre e utilizzare prodotti locali per scambi economici con l’estero, per la compravendita di prodotti per il consumo sul mercato libero Se si verificano queste condizioni il lavoro potrà ricominciare e anche il settore dell’istruzione migliorerà, a Gaza
tornerà la circolazione di beni e danaro, e i giovani potranno avere un futuro.
Non è più accettabile il lento genocidio imposto al popolo di Gaza.
La libertà di vivere del popolo di Gaza è la sola sana leva per un processo democratico in Palestina e per la autodeterminazione del suo popolo.
Dunque è anche il solo piano realistico per la pace. Agire adesso!
Iniziato l’11 Luglio, 2017 da
Appello per i Bambini di Gaza, Genova, Italia
Cultura e Libertà, una campagna per la Palestina, Italia
NWRG, onlus, Italia
Contatto: wexgaza@gmail.com